Lettera n. 1222

Mittente
Manzoni, Alessandro
Destinatario
Giorgini, Giovanni Battista
Data
11 gennaio 1858 (11 del 1858.)
Luogo di partenza
Milano
Luogo di arrivo
Siena
Lingua
italiano, francese, latino
Incipit
Il Redaelli, che non ha potuto
Regesto

Alessandro Manzoni chiede al genero Giorgini di raccomandare la causa dell'editore Redaelli (contro i contraffattori toscani delle opere di Pestalozza) presso qualche giudice della Cassazione di sua conoscenza, e ribadisce l'intenzione di riprendere la sua causa contro Le Monnier per le edizioni abusive dei Promessi sposi. Lo scrittore si sofferma sull'interpretazione proposta dal genero in una precedente missiva di un passo di Paolo Diacono richiamato nell'appendice al capitolo quarto del Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia.

Testimoni
Edizioni
  • SFORZA 1875, p. 325 (con errori).
  • SFORZA 1882-1883, vol. II, p. 269.
  • SCHERILLO-GALLAVRESI 1923, vol. II, p. 167.
  • ARIETI-ISELLA 1986, lettera n. 1222, vol. III, pp. 163-165, note alle pp. 654-655.
  • CARTEGGI FAMILIARI 2019, lettera n. X.197, pp. 540-542, note alle pp. 542-543.
Opere citate

I promessi sposi; Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia

+ Testo della lettera

Mio caro Bista,

Il Redaelli, che non ha potuto nel suo breve soggiorno in Toscana, fare una corsa a Siena, e che t’ha spediti di qui due supplimenti della Gazzetta de’ Tribunali, vuole ch’io ti preghi di raccomandare la sua causa a qualche giudice della Cassazione, col quale tu abbia amicizia, e, quando ti trovassi in Firenze, di farti informare dello stato della causa dal S.r Avv.to Panattoni. Eseguisco la commissione con pochissima speranza, vedendo le difficoltà d’una cosa e dell’altra, e insieme con tutta libertà, pensando che tu non hai bisogni di far cerimonie per dirmi che non puoi.
A proposito di cause di contraffazione, non mi rammento bene se, in una delle mie ultime lettere t’abbia parlato dell’intenzione di ravviare la mia col S.r Lemonnier. Come sai, non avevo fatto uso del diritto accordatomi dalla sentenza del 46, di ripetere da lui un rifacimento di danni. Ora, venendo assicurato | da varie parti, che, malgrado la prima sentenza, ha continuato a fare delle ristampe, sempre con la stessa data, e che ne spedisce a furia per l’Italia e fuori; e avendo anche saputo che, secondo le leggi di Toscana, l’affare non è prescritto, voglio poursuivre mon droit, o ius meum persequi: caso non raro, che un italiano sappia come una cosa si dice in francese e in latino, e non sappia come si dice in italiano.
Vorrei poter parlare a lungo con te dell’interpretazione del passo di Paolo Diacono; ma con l’intenzione di non trovar giusta la tua, poiché io ho stampato. Eccoti intanto alcune difficoltà. Il divisi io non lo riferisco al tempo dell’interregno, ma a quello dell’occupazione; e le mie ragioni le ho dette in stampa, donde è difficile revocare gradum. Non mi pare che il tamen possa riferirsi alla restaurazione della monarchia, perché questa non è nominata che incidentemente; e inoltre, il dividere anche i servi col re, sarebbe stata una cosa consentanea alla cessione della metà de’ beni nominata immediatamente prima. Il partiuntur, non si vede perché sarebbe così scusso. E n’avrei dell’altre, se si trattasse di dirle a voce. O utinam! |
Avrai saputa, anche prima di me, la resoluzione della Crusca, di riformare il vocabolario secondo l’uso di Firenze. Per quanto io confidassi nell’eloquenza di Gino, confesso che un resultato così grande, così pronto, non avrei osato sperarlo. Ho esclamato col Tossilo di Plauto:
Hostibus victis, civibus salvis, re placida, pacibus perfectis, Duello extincto, re bene gesta, integro exercitu et praesidiis, etc.
Son certo che anche tu hai provato lo stesso effetto, e non vedo l’ora di sentirmelo dire da te.
Da questa allegria mi convien cascare in cose pur troppo dolorose. Quantunque le tue ultime lettere non mi lasciassero speranza del ristabilimento del povero Bertagnini, la notizia finale, m’ha data l’afflizione d’un colpo inaspettato. Qual perdita per la scienza, per l’Italia, per gli amici! Non mi sento quasi il coraggio di nominar quella tanto eccellente e tanto profondamente ferita madre. E di qui vedrai il perché, nello scriverti, io non trovassi il dove né il come ritornare su quell’altro argomento che vi tocca e mi tocca | tanto più da vicino. Ti ringrazio d’aver rotto il ghiaccio parlandomi del dolore di Vittoria e del tuo, reso placido dalla rassegnazione. E ti ringrazio d’avermi parlato, non de’ compensi, che non ce n’è di terrestri, ma della consolazione che vi dà Giorgino, al quale darai un bacio per il nonno di Milano, troppo indegno d’aver comune il nome con quello di Firenze. Dio voglia che tu mi possa dir qualcosa di meglio, degli occhi della nostra povera cara Vittoria. Addio intanto miei carissimi. Pietro che ha passate qui le feste con la sua cara famiglia, sta e stanno bene. Mia moglie esce da una grippe che le è costata due cavate di sangue, ma che è finita bene. Stefano n’ha avute tre per la stessa cagione, e con bon successo ugualmente. Vi salutano di core, e così fa Rossari, che ho visto in questo momento. Avrai riavuto il Cherubini per mezzo della gentilissima Trivulzio. Anche dopo la gran vittoria, il lavoro, se non ti secca il proseguirlo, sarà ugualmente utile. V’abbraccio di core, e invoco sopra di voi la benedizione del cielo.

Il v.ro aff.mo babbo
Alessandro