A Parteneide

Insieme editoriale: Poesie / Poesie prima della conversione

Gli sciolti contengono un cortese declino dell’invito rivolto dal poeta danese Jens Baggesen (1764-1826) a Manzoni, affinché questi traducesse in italiano il suo poema idillico in dodici canti Parthenäis (1807), come nel frattempo in francese aveva fatto Claude Fauriel, la cui laboriosa versione fu stampata nel 1810 (cfr. La Parthénéide. Poëme de M. J. Baggesen, traduit de l'allemand, Paris, chez Treuttel et Würtz) con in introduzione le sue importanti Réfléxions préliminaires sur le poëme suivant et sur la poésie idyllique, en général (pp. I-CVIII).

La «casta bellezza» (v. 2) di Parteneide (personificazione del poema) sarebbe di per sé sufficiente a far innamorare il poeta, senza bisogno di altri stimoli (1-29): ma per quanto ne sia attratto, egli rifiuta la mano della fanciulla per il senso di inadeguatezza che prova alla vista del suo divino fulgore (30-41); intanto una nuova passione concepita per una vergine orobia coronata di fiori gli impedisce di tornare da lei.
Nell'allegoria di questa nuova figura femminile, pur in assenza di riferimenti espliciti, la critica concorda nel riconoscere un'allusione al poemetto sul vaccino (cfr. scheda [La Vaccina]). Quanto invece alle dichiarazioni di inadeguatezza, non solo relative a Parteneide ma anche alla nuova impresa poetica, le quali «finiscono per costituire la nota più evidente del testo» (cfr. BOGGIONE 2002, p. 450), si vedano le dichiarazioni manzoniane inviate a Fauriel nello stesso 1809 (cfr. le lettere del 4 agosto e del 6 settembre, con il commento di CARTEGGIO MANZONI-FAURIEL 2000, nn. 33-34, pp. 120-121, 123-124), che confermano un precoce senso di insoddisfazione non tanto legato al genere idillico, che ancora per vario tempo susciterà l'interesse dell'autore, quanto alla mancanza di un vero e proprio impegno morale e civile, e quindi - in sostanza - all'inautenticità dell'impianto figurativo neoclassico.

Metro
endecasillabi sciolti
Storia del testo

La storia del componimento impone di ricostruire i rapporti tra Manzoni, Fauriel e Baggesen tra 1807 e 1809. Secondo Gavazzeni (cfr. GAVAZZENI 1992, p. 239) – come già per BARBI 1939A, pp. 60-65 e, prima, per PORENA 1910 – è verosimile pensare che il poeta danese si sia rivolto a Manzoni dopo il 1807, anno dell’uscita a stampa di Parthenäis oder die Alpenreise. Ein idyllisches Epos in zwölf Gesangen ("Parteneide ovvero il viaggio nelle Alpi. Un poema idillico in 12 canti"; Amsterdam, im Kunst und Industrie Comptoir), versione ampliata del precedente Parthenäis oder der Jungfrauenwallfhart zur Jungfrau ("Parteneide ovvero l'ascesa delle vergini fanciulle alla vetta della Vergine"; Hamburg, Vollmer), uscito nel 1803 in 9 canti. Una copia dell'opera, oggi conservata presso il CNSM (Fondo manzoniano, 2814), venne quindi donata dall’autore a Manzoni, amico di Fauriel – il quale aveva a sua volta tradotto l’opera – intorno al 1809, a ridosso cioè della stesura manzoniana della Vaccina e della pubblicazione della versione francese (aprile 1810).

L’epistolario manzoniano aiuta a ripercorrere le tappe principali della vicenda: Manzoni aveva letto qualcosa della traduzione di Fauriel già nel 1807, tanto che in una lettera del 28 settembre di quell’anno, scrivendo da Susa all’amico, diceva di essere appena «sortie des États du Dieu Vertige» (ARIETI-ISELLA 1986, n. 37, vol. I, pp. 55-56), con una chiara allusione a una delle divinità nordiche che animavano la Parthenäis. Lo scambio attorno all’opera di Baggesen riprende quindi due anni più tardi, appunto nel 1809, quando Manzoni torna a rivolgersi a Fauriel parlando della traduzione francese, non ancora uscita, e finalmente – esaurito ormai il lavoro attorno all’Urania – gli confida di avere in mente nuovi progetti letterari; progetti che tuttavia non contemplavano la versione del poema idillico. Il 5 ottobre, afferma infatti: «Je suis plus heureux que je ne le mérite, pour ma Vaccine» (ARIETI-ISELLA 1986, n. 65, vol. I, pp. 96-97). È dunque questo il momento in cui Manzoni, dichiarando che non potrà dedicarsi alla traduzione italiana perché preso da un diverso impegno, declina l’invito del poeta danese. L’immagine allegorica del divino fantasma femminile (vv. 48-49 «una indistinta / Aeria forma») a cui egli si rivolge come a una nuova impresa poetica, si spiega alla luce delle forme assunte dall’originaria richiesta di Baggesen: l’esemplare dell’edizione di Parthenaïs donato a Manzoni comprendeva infatti, tra frontespizio e dedica, un fascicoletto manoscritto di sei pagine con l’ode inedita Parthenäis an Manzoni (che si riporta di seguito alla scheda nella traduzione offertane per primo da Bonghi), con la quale Baggesen rivolgeva in sostanza a Manzoni la richiesta di voltare i propri versi mediante la protratta allegoria delle peregrinazioni della fanciulla-Parteneide, personificazione della poesia. Nell’ode ella è rappresentata mentre erra tra le eteree vette alpine; per primo la prende per mano un giovane (Nordfrank/Baggesen) che, ammirato dalla sua bellezza, trova per lei le più dolci armonie in lingua nordica; poi, dal mondo occidentale le viene incontro un nuovo amico (Fauriel), che si aggiunge al primo, prende il suo posto e la incanta con la lingua ammaliatrice del mondo; infine la fanciulla è nuovamente sospinta ad errare, stavolta verso il mezzogiorno: piacesse dunque all’amico di Fauriel, «l’amabile» Manzoni, porgerle a sua volta la mano. Lo stesso impianto retorico è dunque usato da Manzoni per il proprio diniego, che rimarrebbe inintelligibile senza la cornice del testo baggesiano.

Le testimonianze manoscritte, autografe, di A Parteneide sono due: Manz.B.XIV.4a, prima minuta con interventi correttori diffusi, e Manz.B.XIV.4b, bella copia (con un’unica variante al v. 14: «vederti» cancellato e sostituito da «trovarti»). Questa trascrizione, inviata a Fauriel, fu rinvenuta tra le carte del fondo passate a Mary Möhl, venne consultata da Sainte-Beuve, riprodotta da De Gubernatis e poi recuperata dalla BNB e collocata sotto la medesima segnatura del primo getto (CHIARI-GHISALBERTI 1957, p. 888). Sul manoscritto Manzoni aveva posto l’avvertenza «non corretto» (c. 1r), e in calce ai versi la nota «Quando ai due illustri amici pajano affatto cattivi, mi studierò di farli ancor meno cattivi, avendo già notate varie cose da levarsi, e pensatene alcune che si potrebbero più opportunamente aggiungere» (c. 4r). Ciononostante, la copia francese, come già notava Barbi, «deve rappresentare rispetto all’abbozzo qualche cosa di più definitivo e quindi di più autorevole» (BARBI 1939A, p. 60).

Traduzione di Parthenaïs an Manzoni:
«Fanciulla aerea, schiva e timorosa andava errando solitaria su per le eteree vette del mondo primitivo, immerso tutt’intorno nell’abisso. Senz’arte né sapere, figliuola d’una natura deserta, mi godeva, vegliando, i fiori della luce, e ne’ notturni sopori sognavo l’aureo frutto dell’immortalità. | Pur nella solitudine uno strano agognare mi agitava addentro, un agognare a qualcosa che non era sulle alpestri alture. Guardavo in giù all’occaso, là ove una pianura scende e si stende quasi mare disseccato; e poi a mezzogiorno, all’odorifero paese, dove dalla raggiante luce meridiana insieme disposati campi e colline ondeggiavano! Salutate all’oriente le sommità di lontano scintillanti della patria, fissavo anche spesso con orrore lo sguardo all’estremità boreale. | Ed ecco da questa venir su, arrampicandosi un giovane errante, fuori di strada, dall’occhio inquieto, guardando senza posa a destra e a manca, pur sempre guadagnando l’altezza, quasi cercasse, salendo, qualcosa al di là della terra. Esausto raggiunge la cima del più alto monte, dove io, attonita all’avvicinarsi di lui, tremavo. Mi vide e cadde in ginocchio e a mani giunte pareva implorasse vita. Pietosa gli stesi la mano; e, come repente il giorno balza fuori dal tremolio crepuscolare, così egli mi si levò ritto daccanto, tenendo sempre, benché d’aiuto non avesse più d’uopo, la mia nella sua mano. Ed io volontieri gliela lasciai, chè pareva ne gioissimo entrambi. Presto una tremula fiducia prese del timore il posto. Che cosa in me accadesse, ricordo appena. Gli sguardi come legati indissolubilmente da un sorriso di più in più soave, intimi e dolci, come la stretta tremante delle congiunte mani, io seguii d’ora in poi la guida che mi parlava straniera favella. E con lui scesi le rupi verso il settentrione, dove ben presto mi divenne familiare il linguaggio del fiume e del sibilante querceto, i cui più teneri accenti egli m’andava ricantando nel ritmo natio. Quella dolce umana parola che in melodiosa armonia aveva note divine, pur suonandone dura all’etereo orecchio l’espressione esterna, m’istillava nel cuore gaudio ineffabile. | Nulladimeno una curiosità infantile di vedere un po’ più il mondo mi si muoveva continua nel petto. Una più raffinata cultura parevami pur possibile e desiderabile. E qui dalla capitale moderna dell’arte ci venne incontro, stringendosi al seno il compagno mio, un prediletto dell’eterna classica coltura. Mi guardò, quasi augurasse all’innocenza ogni più nobile grazia, ogni raffinato ornamento. E Nordfrank pieno di gioia lo ringraziava per me, che, vergognosa, gli occhi bassi, e accesa tutta in viso, taceva. | Chiusi però in me soltanto per poco l’intima commozione che era al sommo per non avermi il nuovo duce staccato dal mio primo amico. Lasciatami questo la mano, la posi subito all’altro. Ed egli mi fece sentire gli effluvii delicati della più squisita socievolezza e della lingua ammaliatrice del mondo; effluvii che con libera scelta muovevano dal labbro suo più dolce ancora che nelle nettaree rime il miele di Racine. E dell’occidentale paese mi scoprì tutte le grazie, e a me, docile nel riceverla, comunicò la fine coltura, pur lasciando con religiosa scrupolosità intatta nella figliuola delle alpi l’idilliaca natura. | Ed ora non meno di quella di Nordfrank m’è cara anche l’amicizia di Fauriel. Ora non saprei scernere per chi l’animo propenda più forte; chè qualcosa che ancora gli superi, mi è ignoto. | Pure, ripenso sovente, in sonno, al tempo in cui dall’alto de’ patrii monti spingeva sul paese all’intorno lo sguardo; e ripenso anche, come lassù una volta il bel mezzogiorno mi tendesse le braccia e mandasse auree balsamiche, attraendomi con fascino, che ancora oggi è più che sentito. Ah, il vivo presentimento! Di quali più soavi profumi, e più dolci suoni e più deliziosi, più floridi e smaglianti colori non potrei io animarmi ed arricchirmi, dove un qualche nipote di Dante, di Tasso o Petrarca volesse concedermi il serto della cultura, intrecciato de’ fiori colti nella patria di Marone, sacro alle muse. | Oh! piacesse all’amico di Fauriel e di Nordfrank porgermi la mano. Infine da te ancora, amabile Manzoni, la vergine dedicata all’amicizia, e che già ti è devota tanto sino ad arrossirne, imparerebbe amore! BAGGESEN». (cfr. BRAMBILLA-BONGHI-SFORZA 1883-1898, vol. I, pp. 136-137)

Date di elaborazione

1809-1810


Testimoni manoscritti (vedi tutti)
  • Manz.B.XIV.4a • Milano, Biblioteca Nazionale Braidense
    (prima stesura autografa)
  • Manz.B.XIV.4b • Milano, Biblioteca Nazionale Braidense
    (copia in pulito autografa)

Prima edizione
  • DE GUBERNATIS 1879A = De Gubernatis Angelo, Il Manzoni prima della conversione studiato nella sua corrispondenza inedita, in «Nuova Antologia», 48, 15 dicembre, 1879, pp. 39-644
    (edizione alle pp. 624-626; cfr. https://books.google.it/books?id=lrf71NnipGgC&pg=PA589&dq=Il+Manzoni+prima+della+conversione+studiato+nella+sua+corrispondenza+inedita&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjO-eLfz_zsAhULDOwKHRO0BpcQ6AEwAHoECAYQAg#v=onepage&q=corrispondenza&f=false)

Edizioni di riferimento
  • DANZI 2012A = Manzoni Alessandro, Tutte le poesie, a cura di Luca Danzi, Milano, BUR Rizzoli, 2012
    (pp. 449-452)
  • BOGGIONE 2002 = Manzoni Alessandro, Poesie e tragedie, a cura di Valter Boggione, Torino, Unione tipografico-editrice torinese, [2002] (Classici italiani)
    (pp. 448-456)
  • GAVAZZENI 1992 = Manzoni Alessandro, Poesie prima della conversione, A cura di Franco Gavazzeni, Torino, Einaudi, 1992 (Nuova universale Einaudi, 209)
    (pp. 238-245)
  • LONARDI-AZZOLINI 1992B = Manzoni Alessandro, Tutte le poesie, 1797-1872, a cura di Gilberto Lonardi, commento e note di Paola Azzolini, Venezia, Marsilio, 1992 (Letteratura universale. Esperia)
    (pp. 149-151; nota al testo e commento pp. 330-333)
  • CHIARI-GHISALBERTI 1957 = Manzoni Alessandro, Poesie e tragedie, Milano, Mondadori, 1957 (Tutte le opere di Alessandro Manzoni, a cura di Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti, “I classici italiani", vol. I)
    (testo pp. 211-213; nota al testo pp. 885-889)
  • SANESI 1954 = Manzoni Alessandro, Poesie rifiutate e abbozzi delle riconosciute, a cura di Ireneo Sanesi, Firenze, Sansoni, 1954
    (testo pp. 108-112; discussione pp. CVI-CXIV, CXX-CXXI)
  • BARBI-GHISALBERTI 1950 = Manzoni Alessandro, Scritti non compiuti. Poesie giovanili e sparse, lettere, pensieri, giudizi, con aggiunta di testimonianze sul Manzoni e indice analitico, in Manzoni Alessandro, Opere di Alessandro Manzoni, Centro Nazionale di Studi Manzoniani, a cura di Michele Barbi e Fausto Ghisalberti, Milano, Casa del Manzoni - Firenze, Sansoni, 1942-1950 (3 voll.)
    (pp. 75-78)
  • BRAMBILLA-BONGHI-SFORZA 1883-1898 = Manzoni Alessandro, Opere inedite o rare di Alessandro Manzoni, pubblicate per cura di Pietro Brambilla, da Ruggiero Bonghi e Giovanni Sforza, Milano, Rechiedei, 1883-1898 (voll. 5)
    (vol. I, pp. 132-144)

Risorse correlate
Edizione del testo in preparazione

Scheda di Margherita Centenari | Cita questa pagina