[Testimonianze di poesie perdute o ideate - Scherzi]

Insieme editoriale: Poesie / Poesie varie

Manzoni, com’è noto, passò al setaccio i suoi puerilia, attuando spesso una ricerca capillare delle copie conservate presso gli amici, e ne distrusse molti, per lo più bruciando i manoscritti. Numerose sono le testimonianze indirette intorno a componimenti perduti, a cui vanno aggiunte le opere ideate e mai realizzate e alcuni scherzi poetici. Tra le opere smarrite l'epistolario manzoniano documenta una «Novellaccia in ottave» composta forse nel 1802 o nel 1803, e i versi in francese spediti al Fauriel. Altre testimonianze si hanno di alcune poesie antifrancesi, tra cui il sonetto Poi che Guido e i suoi figli ebbero sede, di componimenti in latino, di sermoni, di un epitaffio su Leonida, e dei versi scritti sul proprio banco in Senato. Di due componimenti progettati e mai realizzati dà notizia l'epistolario: un epitalamio, promesso forse per le nozze dell’amico Pagani, e un poema sulla fondazione di Venezia. Tra i versi faceti si collocano una strofetta e un verso sulla penna (nati come prove di penna), un verso sulla cioccolata e dei versi in dialetto veneziano, tutti conservati alla Braidense; alcuni versi sul tabacco trasmessi dal figliastro Stefano Stampa e perfino un indovinello riferito da Alfredo Panzini.

Storia del testo

Si riferiscono nel dettaglio, a partire dalle notizie ricavate dalle lettere manzoniane, le testimonianze indirette delle poesie perdute, e di altre solamente progettate; seguono alcuni scherzi poetici, in parte conservati tra gli autografi della Braidense. Queste testimonianze sono state per lo più riunite e attentamente esaminate da Sanesi, quindi da Ghisalberti (cfr. SANESI 1954, pp. XIII-XIV, XIX-XXI, XXXI, XXXIV-XLII, e CHIARI-GHISALBERTI 1957, pp. 265-273).

POESIE PERDUTE
Novellaccia in ottave
Dell’esistenza di una «Novellaccia in ottave» composta nel 1802 o nel 1803 rimane traccia nella lettera del 23 marzo 1812 inviata da Manzoni a Carlo de Castillia. A quest’ultimo, Manzoni ricorda di avere dato una copia che desidera rintracciare: «Ti prego medesimamente sapermi dire se mi tradisce la memoria in questo che tu abbi copia d'una mia Novellaccia in ottave scritta nove o dieci anni fa, e pessima per ogni verso» (vd. ARIETI-ISELLA 1986, vol. I, p. 129, e lettera n. 89).

Versi in francese
A Fauriel, Manzoni inviò certamente dei versi in francese, come attesta una lettera priva di data, collocabile tra il giugno e il settembre del 1807. Manzoni, poco convinto dei primi risultati, desidera conoscere il parere dell’amico prima di abbandonare definitivamente il progetto: «Ne vous effrayez pas en voyant des vers: ce n'est assurément pas des encouragemens que je vous demande. Je vous avais fait part d'un projet ridicule que j'avais conçu, de faire des vers français: des difficultés, que j'aurais dû prévoir, me le font abandonner. Mais pour vaincre un reste d'affection à ce projêt, il me faut une decisione autorevole. Je l'attends de votre sincère amitié, et je vous assure que je la désire, pour me mettre tranquillement à d'autres travaux, dont la rëussite soit moins désespérée. C'est pour provoquer cette décision, que je vous envoye une partie des vers que j'ai pû mettre ensemble, mon cerveau ténaillant. Je crois que Chapelain a fait des vers italiens: j'aurais voulu rendre aux français pane per focaccia: mais je ne pourrai pas venger mon pays. Adieu.
J'ai marqué les vers qui me paraissent les plus insupportables, ce n'est pas pour absoudre les autres. Souvenez vous que ce n'est pas une humiliation, même pour l'amour propre d'un poète, de s'entendre dire qu'on ne sait pas faire des vers dans une langue étrangère. Adieu; j'ai honte de signer» (vd. CARTEGGIO MANZONI-FAURIEL 2000, p. 47, e lettera n. 35).

Poesie antifrancesi
Dalla lettera del 28 febbraio 1829 di Andrea Mustoxidi a Tommaseo si ricava la notizia del sonetto Poi che Guido e i suoi figli ebbero sede e di quattro epigrammi manzoniani posseduti insieme al sonetto [Alla sua donna] proprio da Mustoxidi. La lettera, con cui Mustoxidi respinge la richiesta di inediti manzoniani da parte del Tommaseo, fu edita da Teresa Lodi nei Colloquii col Manzoni: «come potrei io, trattandosi di autore vivente, farle avere i versi inediti del Manzoni senza il consenso di lui? E noti che questi sono, quattro epigrammi, il sonetto Se pien d’alto disdegno e in me securo, e l’altro Poi che Guido e i suoi figli ebbero sede. Ora poiché la religione, e la solitudine, e le virtù domestiche, e l’esperienza hanno destato nell’animo del nostro amico sentimenti ad un tratto più miti e più severi, non si turberebbe egli al veder fatte pubbliche e durevoli colla sua fama quelle poesie che o parlano d’amore, o pungono con parole men caste uomini che più non vivono, ed illustri, ed amici suoi, o chiamano tiranno, e indegno della patria italiana, Napoleone e qualificano, colla solita ridicola iattanza degl’italiani, per barbari i francesi?» (vd. TOMMASEO COLLOQUII 1928, p. 230, n. 2). In relazione a questa missiva va posta probabilmente un’altra testimonianza del Tommaseo, il quale riferisce che Mustoxidi conosceva «a mente» un sonetto di Manzoni contro Bonaparte mutatosi da console in imperatore e alcuni «epigrammi licenziosetti», uno dei quali sul Monti (vd. TOMMASEO COLLOQUII 1928, p. 11). Da qui, prima Teresa Lodi, quindi Sanesi ipotizzarono che il sonetto Poi che Guido e i suoi figli ebbero sede fosse indirizzato contro Napoleone. Quanto agli epigrammi, Sanesi ipotizza che tre di questi fossero i versi [Contro il Padre Gaetano Volpini], [Su Vincenzo Monti] e [Su G. B. Giovio], e che il quarto fosse «rivolto contro i Francesi, di cui Manzoni avrebbe messo in ridicolo la barbarie» (vd. SANESI 1954, p. XXXVIII).

Componimenti latini
Notizia indiretta è giunta anche di alcuni componimenti in latino composti dal giovane Manzoni. Ancora Tommaseo, nel terzo volume delle Opere di Alessandro Manzoni milanese con aggiunte e osservazioni critiche edito a Firenze nel 1829 da Batelli, si disse a conoscenza di un «giovanile componimento latino» posseduto da un amico del Manzoni che secondo Ghisalberti va individuato quasi certamente in Mustoxidi (cfr. BATELLI 1828-1829, p. 57; CHIARI-GHISALBERTI 1857, p. 265). E ancora nei Colloquii Tommaseo dichiarò «Fece anch’egli in gioventù epistole latine in versi; e me lo confessò come esercizio giovanile» (vd. TOMMASEO COLLOQUII 1928, p. 60). A queste testimonianze si aggiunge quella trasmessa da don Paolo Pecchio, parroco di Brusuglio, a Giovanni Sforza: «Anche da vecchio recitava a memoria de’ versi, per lo più latini, fatti da scolaro; anzi conservò fino agli ultimi anni una poesia latina che è satira fiera contro un de’ maestri e in que’ versi con un aggettivo lo nomina. Il curato ne sa il cognome, ma non ha voluto dirmelo» (vd. GHISALBERTI 1943, p. 253). La notizia, un po’ alterata, giunse anche a Petrocchi il quale riferì di «un’alcaica, latina», che Manzoni avrebbe bruciato insieme ad altre poesie dirette al Torti (vd. PETROCCHI 1897, poi in PETROCCHI 1898, p. 10).

Sermoni
Di sermoni distrutti da Manzoni raccontò don Paolo Pecchio a Giovanni Sforza, che riportò la notizia in alcuni appunti rintracciati da Ghisalberti. A Sforza, il parroco di Brusuglio riferì che Manzoni aveva composto «tre sermoni e ne possedeva l’autografo il Torti. Il Manzoni li rivolle a ogni costo, e li bruciò. Al Torti dette in ricompensa il manoscritto della Pentecoste. Prima si era fatto promettere dal Torti che non li darebbe a leggere a nessuno. Il Torti diceva che erano belli». In un secondo appunto Sforza riportava: «Torti ebbe da Manzoni due o tre satire (il Pecchio a cui il Torti le fece leggere non ricorda se fossero due o tre: certo era più d’una). Torti n’ebbe l’autografo, ma con patto di non copiarlo né di lasciarlo copiare. Un giorno volle glielo desse: la battaglia fu lunga. In compenso ebbe l’autografo della Pentecoste. Manzoni le bruciò. Torti le giudicava bellissime» (vd. GHISALBERTI 1943, pp. 251-253). Sia Sanesi che Ghisalberti stimano esagerate, invece, le informazioni riferite dal Lesca a proposito di una lettera in cui Luigi Longoni raccontava al Carcano che «il Torti avrebbe avuto ben sedici componimenti autografi dai quali traspariva la potenza satirica del Manzoni: resi all’autore, questi li distrusse» (cfr. LESCA 1927A, p. XII, n. 1, SANESI 1954, p. XXXVIII, e CHIARI-GHISALBERTI 1957, p. 266).

Epitaffio su Leonida
A Stefano Stampa si deve la testimonianza di un epitaffio su Leonida: «Più d’una volta mi recitò un epitaffio che egli aveva composto in versi ai trecento di Leonida; ma disgraziatamente non me ne posso ricordare i versi ma solo il loro senso, che era questo: invitava il passeggero a fermarsi e a leggere, ch’essi eran caduti per ubbidire alle leggi della patria. Mi ricordo soltanto che rimava la parola leggi, con quella finale di ubbidire alle sue sante leggi, con che terminava l’epitaffio, composto di due o tre versi» (vd. STAMPA 1885-1889, vol. II, p. 424). Come notò il Rotondi non si tratta però di un componimento originale, bensì di una traduzione dell’epitaffio di Simonide (vd. ROTONDI 1939, p. 49; SANESI 1954, p. XL).

Versi scritti sul proprio banco in Senato
Secondo la testimonianza di Filippo Crispolti «Baldassare Avanzini, il fondatore del Fanfulla, mi mostrò una volta due versi scherzosi che il Manzoni aveva scritto sul proprio banco al Senato, e che gli era riuscito di prendere. Ma non ne ricordo il testo» (vd. CRISPOLTI 1940, p. 13).

POESIE IDEATE
Nell’epistolario manzoniano si trova traccia delle seguenti due opere progettate e non realizzate.

Versi per nozze
Alle nozze dell'amico Giovan Battista Pagani con Marianna Gerardi di Lonato, probabilmente, va riferita la promessa di un epitalamio, progetto a cui Manzoni accenna nella lettera dell’8 aprile 1807 a Fauriel: «il n'est pas impossible que je commence et achève une pétite... que je me defasse ici d'une petite superfluité poetique. C'est un jeune homme que j'ai connu par force (au college) mais que j'ai frequenté tres volontairement apres qui vient de se marier; je lui avais promis des vers pour son mariage; il m'êcrit pour se plaindre que je lui aje manqué de parole; il la lui faut tenir, fut-ce malgré Minerve. Il me paraît au contraire que mon retard à l'accomplir peut me fournir une tres belle idéé... Mais voila dejà trop de lignes employes sur une petitesse en êcrivant a un ami comme vous» (vd. CARTEGGIO MANZONI-FAURIEL 2000, p. 26, e lettera n. 24). E forse a questi versi (o all’Urania) Manzoni allude ancora nella lettera del 28 aprile 1807, sempre al Fauriel: «J'ai quitté mes vers parce que je ne veux pas faire une bêtise, et dans le moment je ne pourrai que cela, et par quelque autre petit motif tres inconcludent» (cfr. CARTEGGIO MANZONI-FAURIEL 2000, p. 37, e lettera n. 25).

Poema sulla fondazione di Venezia
Al 1809 è documentato il progetto manzoniano di un poema sulla fondazione di Venezia, mai avviato. Un primo accenno si trova forse nella lettera del 23 gennaio 1809 a Fauriel: «Croiriez vous que je médite la plus grande et la plus folle entreprise poetique? Ne riez pas; c'est d'un poême qu'il s'agit serieusement; nous en parlerons, et surement je n'en parlerai qu'avec vous» (cfr. CARTEGGIO MANZONI-FAURIEL 2000, p. 103, e lettera n. 52). L’argomento generale dell’opera è poi esposto nella lettera a Fauriel del primo marzo 1809: «Le Poeme dont je vous ai parlé est jusqu'à présent dans le neant; je n'en ai pensé que le sujet; c'est la fondation de Venise. Voila les avantages qu'il me parait present[er]; époque de barbarie, dont il n'y a pas d'histoire ni bien detaillée ni bien judicieuse; fait important, national, qui a eu de grands obstacles, et de grandes suites etc. Pour les difficultés, je n'en entrevois jusqu'à présent que deux tres minces, c'est à dire le manque d'un héros fameux, et la machine; mai[s] pour la premiere peut-être trouverai-je quelque chose dans les chroniques, ou dans les histoires plus connues; pour la seconde: il faut-y penser. Voila deux difficultés vaincues, comme vous voyez» (cfr. CARTEGGIO MANZONI-FAURIEL 2000, pp.109-110, e lettera n. 57).

SCHERZI
Di quelle che Ghisalberti definì «Bizzarrie poetiche» (vd. CHIARI-GHISALBERTI, pp. 271-273) fanno parte alcuni versi conservati tra gli autografi della Braidense o conosciuti per via indiretta.

Versi sulla penna
In due autografi manzoniani si trovano prove di penna che si traducono in veri e propri versi, il primo reca il settenario «Penna che rende bene» (Manz.B.XXXI.135), e il secondo contiene la strofetta «Penna che getta benino | penna che rende sottile | Sappia che sul tavolino | C’è il cencino, | Che la gente del bel mondo | Chiama il Tippoo» (Manz.B.XXX.22), edita per la prima volta in MONTI 1923, p. 23 (ma con errori).

Versi in dialetto veneziano
Tra le carte della Braidense è poi un foglietto contenente 7 endecasillabi in dialetto veneziano che una nota di Teresa Stampa data all’ottobre del 1847, a Lesa: «Gier sera e l’altra sera fu do sere, | Giera su un persegher cargo de nespole; | Magnava tanto de quei dolzi fighi. | Vien el paron de chi giera le zuche, | El dise lassé star quele pestenage: | El tiol un sasso, el me lo buta in manega: | Varé che avé un calcagno che ve lagrema» (Manz.B.XXX.26). Dato il tema di ascendenza popolare, non si tratterebbe di un componimento originale di Manzoni secondo Sanesi. Lo studioso ha ipotizzato piuttosto che Manzoni conobbe questi versi a Venezia tra il 1803 e il 1804, e che probabilmente li ripeté ad amici e familiari in diverse occasioni. In una di esse, a Lesa, nell’ottobre del 1847, la moglie Teresa chiese una trascrizione e la ottenne. A riprova, Sanesi rileva che Teresa conservò questi versi come un «Amphigoury o Anfigouri, scritto da Alessandro» e non «di Alessandro», a significare che «egli ne era soltanto il trascrittore e non già l’ideatore», e che Stefano Stampa ricordava «un Anfigouri, o un bisticcio veneziano che egli recitava rapidamente, in modo che dopo di avere bene ascoltato non si capiva niente» sostanzialmente identico a questo (cfr. STAMPA 1885-1889, vol. II, p. 445, e SANESI 1954, pp. XIX-XXII).

Verso sulla cioccolata
Con la segnatura Manz.B.XXX.40 si conserva, inoltre, una cartina servita da involucro a un pezzo rettangolare di cioccolata su cui Manzoni scrisse l'ottonario «Cioccolata, ti ringrazio» nell’aprile del 1850, secondo la nota di donna Teresa.

Versi sul tabacco offerto alla moglie Teresa, altri versetti scherzosi
Tra le testimonianze indirette si riporta quella di Stefano Stampa secondo cui Manzoni soleva offrire del tabacco alla moglie Teresa recitando i seguenti versi «Deh prendi questa scattera | Che l’è molto bellissuma | Se sonno te pardomina | Tabacco te sveglierà», e spesso interrompeva la conversazione canticchiando scherzosamente «Basta, basta, non saprei, | Lei di me non ha pietà» (vd. STAMPA 1885-1889, vol. II, p. 419).

Sciarada della lucciola
Infine, Mario Borsa riferì: «Perfino sciarade componeva in dialetto, e Alfredo Panzini ricorda quella della 'lucciola': El me primier l’è lù, El second l’è propi lù, All’inter ghe lus el cù» (vd. BORSA 1949A, p. 156), per la quale Ghisalberti avverte che in milanese «‘ciola’ è sinonimo di ‘minchione’, onde la faceta risoluzione della sciarada: ‘lu-ciola’» (vd. CHIARI-GHISALBERTI 1957, p. 273).


Testimoni manoscritti (vedi tutti)
  • Manz.B.XXXI.135 • Milano, Biblioteca Nazionale Braidense
    (settenario autografo sulla penna)
  • Manz.B.XXX.22 • Milano, Biblioteca Nazionale Braidense
    (versi autografi sulla penna)
  • Manz.B.XXX.26 • Milano, Biblioteca Nazionale Braidense
    (versi autografi in dialetto veneziano)
  • Manz.B.XXX.40 • Milano, Biblioteca Nazionale Braidense
    (ottonario autografo sulla cioccolata)

Edizioni di riferimento
  • CHIARI-GHISALBERTI 1957 = Manzoni Alessandro, Poesie e tragedie, Milano, Mondadori, 1957 (Tutte le opere di Alessandro Manzoni, a cura di Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti, “I classici italiani", vol. I)
    (pp. 265-273)
  • SANESI 1954 = Manzoni Alessandro, Poesie rifiutate e abbozzi delle riconosciute, a cura di Ireneo Sanesi, Firenze, Sansoni, 1954
    (pp. XIII-XIV, XIX-XXI, XXXI, XXXIV-XLII)

Risorse correlate
Edizione del testo in preparazione

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