Lettera n. 596

Mittente
Manzoni, Alessandro
Destinatario
Beccaria, Giacomo
Data
20 febbraio 1841 (20 feb.o 1841)
Luogo di partenza
Milano
Luogo di arrivo
Napoli
Lingua
italiano, latino
Incipit
Rispondo alla parte che mi riguarda
Regesto

Alessandro Manzoni si rivolge al cugino Giacomo Beccaria, allora in viaggio a Napoli, perché si occupi della contraffazione del tipografo napoletano Nobile dell'edizione illustrata dei Promessi sposi e della Colonna Infame.

Note

Il post scriptum fu spedito in un secondo momento, accompagnato da un biglietto a Giulio Beccaria (vd. lettera n. 598).

Testimoni
  • (originale) Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Manz.B.I.12/3, cc. 2rv
Edizioni
  • PARENTI 1945, pp. 258-260.
  • ARIETI-ISELLA 1986, lettera n. 596, vol. II, pp. 174-179, note alla p. 768.
  • CARTEGGI FAMILIARI 2006, lettera n. III.33, vol. I, pp. 84-89, note alle pp. 89-90.
Opere citate

I promessi sposi; Storia della colonna infame

+ Testo della lettera

Giacomo mio carissimo,

Rispondo alla parte che mi riguarda nella tua lettera al carissimo zio; e, senza entrare in ringraziamenti, dai quali non potrei uscir così presto, vengo diritto all'affare. Ho chiesto subito notizie della contraffazione dell'opera dell'illustre Sig.r Troya; ed è pur troppo vero che il manifesto ne è stato pubblicato (il 1.o decembre dell'anno scorso) dal tipografo–libraio–editore Santo Bravetta, presso la ditta Stella. Vengo però assicurato che finora non s'è messo mano alla stampa. E ciò che mi fa dir pur troppo, è il dispiacere della cosa in sè. Chè, in quanto a danno che ne possa venire alla mia causa, prima di tutto mi pare che quest'altra minaccia di contraffazione, piuttosto che motivo di rappresaglia, potrebb'esser soggetto d'una doppia trattativa, e divenire un bel preludio della convenzione che tutti gli amici delle lettere e dell'equità, desiderano e sperano. E ad ogni modo, nel mio caso concorrono tante straordinarie circostanze, che non mi par pretensione ingiusta il dire che può meritare uno straordinario riguardo. Nel mio ricorso, ho parlato quasi esclusivamente del danno che mi vien minacciato, non prevedendo allora che alcuna obiezion di diritto potesse esser fatta alla mia petizione; ma poichè il Sig.r Nobile (come ricavo da una sua lettera a' miei stampatori) arma anche un diritto, non credo inutile d'accennarti le ragioni che mettono in evidenza la nullità di esso. Tu le farai valere, al tuo solito, cioè meglio di quel ch'io sappia esporle.
Se, dopo aver pubblicata la prima edizione de' Promessi Sposi, e quando si cominciò a farne contraffazioni, in vari Stati d'Italia, io avessi chiesta al Governo d'uno di questi Stati, la privativa per la mia edizione; mi si sarebbe potuto rispondere: la vostra richiesta incontra un diritto opposto: stampando quest'opera, voi l'avete resa di pubblica ragione; e questa ragione (qui dove nessuna legge ne assicura a voi la proprietà) | comprende anche la facoltà di ristamparla: il tipografo che ne possiede un esemplare, presentandolo all'approvazione per la stampa, è nel caso di chi avesse presentato un manoscritto inedito, e ha acquistato il diritto di mantenere ciò che poteva promettere. Questo, dico, mi si sarebbe potuto rispondere, intendendo sempre la parola diritto nel senso di summum jus, che equivale al contrario, come sai troppo bene, e dal quale però io non pretendo d'uscire. Perchè, nel caso presente, su che può mai cadere il diritto del Sig.r Nobile? Su quello che non ha acquistato in nessun modo? Questo diritto crudele può, è vero, nascere dalla presa di possesso, ma non dalla protesta di volerlo prendere. La legge che permette a tutti di poter dire: ciò ch'è stampato, è mio, non vien con questo a concedere a nessuno di poter dire: dichiaro mio quello che si stamperà. E, se ci son leggi che devano esser ristrette ne' termini più rigorosi, son quelle certamente che favoriscono più un interesse particolare, che la generale equità. Come può mai divenir del primo occupante ciò che non è ancora del pubblico? Come mai il Sig.r Nobile, stampando un manifesto, ha potuto acquistare una proprietà su ciò ch'è manoscritto nel mio scrittoio? E come mai un Governo vorrà garantire a uno, col titolo di diritto, ciò che un privatuccio gli può levare, quando gli piaccia? giacchè dipende da me il togliere la possibilità della contraffazione, troncando la stampa. Come mai un Governo vorrà riconoscere per proprietario d'una cosa chi non saprebbe nemmeno indicarla, e dire: questo è quel che m'appartiene? giacché della Storia della Colonna infame, che fa parte della sua promessa al pubblico, egli non conosce che il titolo; e io, dandogliene un altro, verrei ad esimerlo da questa sognata proprietà. Il testo dell'opera già pubblicata, riuscirà pure, nella mia edizione, nuovo in parte, e in non poca parte: e le correzioni che sto ora facendo, sarebbero, all'uscir dalla mia penna, cosa già del Sig.r Nobile? La mia petizione dunque non va contro nessun diritto reale, contro nessuna proprietà positivamente acquistata; quando il Sig.r Nobile non intenda parlar del diritto che avrebbe di contraffare i sette fogli già pubblicati. Al qual progetto, io non avrei nessuna ragion legale da opporre; com'egli non ha ragion di nessuna sorte da opporre al diritto che codesto Governo conserva intatto di concedermi | (il che spero dalla sua equità) la privativa per il molto più che mi riman da stampare, e che, essendo, parte inedito, e parte ridotto in nuova forma, è attualmente di mia sola proprietà, in diritto, come in fatto. Ridotta la questione a questi termini, che sono i veri, io credo che la mia causa sia ottima, anche a volerla assoggettare alle più dure leggi della rappresaglia; giacchè, se il Sig.r Troya chiedesse al Governo Austriaco la privativa per la parte che gli rimane ancora da stampare, non ti par egli che l'otterrebbe facilmente? Ma a che parlar di rappresaglie, quand'è intavolata una convenzione? e sagrificare alcuni, quando si sta provvedendo all'interesse di tutti? Messa in chiaro la question di diritto, la ragion del maggior danno acquista, mi pare, assai più forza. Ora, è cosa manifesta che l'autore che ha stampata un'opera intera, o una parte che fa quasi un'opera da sè, ha un vantaggio di tempo sopra il contraffattore, per lo smercio; mentre, a una edizion per dispense, questo vien dietro a passo a passo. Di più, quello non può perdere che sulle spese tipografiche; io ho anche quella dei disegni, che divengono anch'essi oggetto di contraffazione. Quello può, senza scapito di borsa, ritardare indefinitamente la pubblicazion del resto, se l'opera non è compita; io non lo posso senza lasciar infruttuoso e perdente il capitale de' disegni, e senza espormi a compensi verso gli associati. Due altre considerazioni poi rendono il mio caso straordinario: l'una, che sarebbe, credo, il primo d'una contraffazione d'una edizione di questo genere; l'altra, che la contraffazione ordinaria io l'ho già sofferta pazientemente, per tredici anni. Ho veduto il manifesto del Sig.r Nobile; e sai come? L'ha mandato lui a Guglielmini e Redaelli, con la lettera di cui t'ho fatto cenno. È copiato dal mio, e, come nel mio, vi son promessi disegni eseguiti dai Sig.ri Gonin, Riccardi, etc. Su questa usurpazion del loro nome, per un'impresa alla quale non vorrebber certo contribuire, hanno essi preparata una protesta, della quale spero che non verrà il caso di far uso. Quel manifesto poi m'ha dato anche occasion di riflettere che par proprio un destino che i poveri autori siano, per ogni verso, in peggior condizione di chi s'impadronisce delle loro fatiche. Quand'io feci chiedere dagli stampatori il permesso di pubblicare quello della mia edizione, questo permesso mi fu negato finchè l'opera, che in parte era inedita, non fosse approvata, perchè, mi si fece dire, la Censura non può permettere una | promessa, della quale non sa se permetterà l'esecuzione, e perchè dev'esser certa che non si faccia al pubblico una promessa illusoria. In quella stessa lettera, il Sig.r Nobile fa valere l'offerta da lui fatta inutilmente di comperare i clichés dei disegni, che sono, come sai, riproduzioni in metallo degl'intagli fatti sul legno. Come se io avessi dovuto somministrargli il mezzo di contraffar meglio la mia edizione! Si vendono, è vero, i clichés, ma quando abbian da servire a una traduzione, non a una contraffazione. Dice poi che la sua impresa non ha nulla a temere nè anche dalla convenzione, quando questa avesse luogo; perchè non potrà aver effetto retro–attivo. Il che è certissimo; ma non ha punto che far col suo caso; giacchè, rispetto alla parte non ancora stampata del mio libro, la sua è un'intenzione, e non un fatto; una promessa in aria; non un possesso preso. Altrimenti uno che avesse contraffatto il primo numero d'un giornale letterario, avrebbe acquistato il diritto di contraffarlo in perpetuo.
Ti prego di rinnovare i miei rispettosi ringraziamenti al Sig.r Conte di Lebzeltern, e cordialissimi a Filangeri. Sa il cielo come sta questa lettera, scritta con un forte dolor di capo, e con un malessere generale che ho addosso già da qualche giorno: ma mi consolo pensando che è scritta a chi sa intender meglio di quel che gli si dica. Della mia tenerezza e riconoscenza non fa bisogno ch'io ti dica nulla.

Il tuo aff.mo cugino
A. Manzoni

P. S. — Il Redaelli, uno de' miei stampatori, viene a dirmi, in questo momento, che, essendo stato a chieder notizie della contraffazione del Troya, nel negozio stesso donde doveva uscire, gli fu detto che le voci sparse d'una convenzione prossima a concludersi, tenevan la cosa in sospeso. E mi conferma che non s'è ancor cominciato a stampare una linea. Vedi dunque come qui s'intenda più dirittamente l'efficacia di questa sospirata convenzione, e come la sola aspettazione di essa produca già qualche effetto; mentre il Sig.r Nobile non pensa che ad armare anticipatamente ragioni d'eluderla. Nuova differenza tra i due casi, che tu saprai far valere.