Lettera n. 600

Mittente
Manzoni, Alessandro
Destinatario
Beccaria, Giacomo
Data
26 febbraio 1841 (26 feb.o 1841)
Luogo di partenza
Milano
Luogo di arrivo
Napoli
Lingua
italiano
Incipit
Son pieno di vergogna, e quasi di rimorso
Regesto

Alessandro Manzoni scrive al cugino Giacomo Beccaria chiedendogli di seguire personalmente la trattativa con lo stampatore Nobile al fine di impedire la contraffazione della nuova edizione dei Promessi sposi. Lo scrittore esprime il proprio dispiacere per la morte di Giovanni Battista Fè, fratellastro del Beccaria.

Testimoni
  • (originale) Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Manz.B.I.12/4, cc. 1rv
Edizioni
  • PARENTI 1945, pp. 261-262.
  • ARIETI-ISELLA 1986, lettera n. 600, vol. II, pp. 180-182, note alla p. 770.
  • CARTEGGI FAMILIARI 2006, lettera n. III.34, vol. I, pp. 90-92, note alle pp. 92-93.
Opere citate

Storia della colonna infame; I promessi sposi

+ Testo della lettera

Caro Giacomo,

Son pieno di vergogna, e quasi di rimorso, d'esser venuto, e di venir di nuovo a disturbare il tuo dolore co' miei interessi, e a darti brighe, quando hai tanto bisogno di consolazione, e devi procacciarla tu stesso a un compagno, dal quale, in altra circostanza, potresti riceverla più efficace. Quando ti scrissi quell'ultima mia lunga lettera, ero ben lontano dal pensare con che crudele notizia ti verrebbe accompagnata. E ora, dovendo pure aggiungere ciò che richiede un affare già tanto inoltrato, studierò almeno d'esser breve; ed è inutile il dirti che scrivo piuttosto per non mancare alle così amorevoli e così utili cure che hai già prese, che per sollecitarne di nuove; e che tu farai, non quello a che la tua amicizia era disposta, ma quello soltanto che lo stato del tuo animo ti potrà permettere. Ti dirò adunque che la transazione suggerita potrà certamente esser buona, se divien necessaria. E, in questo caso, se potessi concluderla tu stesso, come m'avevi gentilmente offerto, sarebbe, senza dubbio, il meglio. T'unisco perciò una lettera de' Guglielmini e Redaelli, da farne uso, nel solo caso di necessità; anche perchè nelle loro trattative col Sig.r de Conty era compresa la privativa dello smercio, per il Regno di Napoli. Vero è ch'essi hanno espressamente riservato il caso in cui l'autore (che è padrone dell'edizione, e non ha voluto legarsi a nulla) credesse conveniente di far contratti con altri. Ma è sempre meglio non usare di questa facoltà, se si può far di meno; massime trattandosi del Sig.r de Conty, che ha dato, con molta premura, avviso della contraffazione, e scrive d'essersi molto adoperato costì ad impedirla. Del resto, non essendo il contratto definitivamente stabilito, i miei editori gli chiederanno le garanzie che possano esser necessarie; e, non andando intesi su questo punto, | il negozio potrebbe andare in nulla; ma allora l'ostacolo verrebbe da lui. E a questo proposito, se hai le ulteriori notizie di cui m'avevi fatto cenno, mi saranno utilissime.
Mi dispiace non poco che il rigor della legge sembri contrario alla mia causa. Su questo punto, mi son diffuso anche troppo nell'ultima mia; ma vedo ora che ho avuto la colpa io a non esprimere più chiaramente, nel mio ricorso, la circostanza che (oltre alla Storia della Colonna infame, affatto inedita) i Promessi Sposi della nuova edizione sono in gran parte rifatti, e che, quindi, anche riguardo a quest'opera, io non chiedevo che si sottraesse alla ragion pubblica ciò che già ne era, ma che mi si concedesse la privativa per cosa che era ancora, quasi tutta, di mia privata ragione. Io non conosco la legge che sembra farmi contro; ma son certo, come se la conoscessi, che, per quanto essa favorisca la libertà di ristampare, il Governo non può, con essa, esser venuto a togliere a sè stesso la facoltà di concedere un privilegio per cosa inedita, in tutto o in parte, quando, nella sua equità, creda la richiesta aiutata da buone ragioni. — Mi si conferma, da più d'una parte, la somma probabilità che la contraffazione della Storia del Medio–Evo non sia per aver luogo. Sarei ben contento se i Sigg.ri Pardini e Reymond potessero sapere quanto io son riconoscente della parte che hanno gentilmente presa nel mio affare. E, dopo tutto questo, ho bisogno di ripeterti che, se tu mi scrivi, o mi fai dire che non puoi occuparti di nulla, lo troverò troppo giusto. — Non ti parlo della parte che mia madre ed io e tutta la famiglia abbiam presa alla vostra disgrazia, e del dispiacere diretto che ci ha cagionato la perdita d'un uomo, la cui bontà e fortezza d'animo (qualità non comuni ognuna da sè, e rarissime in compagnia) bastavano a produrre una costante stima ed affezione, anche in chi non l'avesse conosciuto, che alla sfuggita.
Addio, Giacomo mio, t'abbraccio con più tenerezza del solito, se è possibile.

Il tuo aff.mo cugino
Alessandro