Lettera n. 548

Mittente
Manzoni, Alessandro
Destinatario
Gonin, Francesco
Data
3 marzo 1840
Luogo di partenza
Milano
Luogo di arrivo
Torino
Lingua
italiano, latino, milanese
Incipit
L'è inutil: quand soo nient, poss dì nient
Indirizzo
Al Chiarissimo Signore | Il Sig.r Francesco Gonin | Cont.da nuova n. 18 | Torino
Regesto

Alessandro Manzoni riferisce a Francesco Gonin che intende tirare tutti gli esemplari dei Promessi sposi con la medesima carta, ritirando la sua promessa di un esemplare in carta distinta. Inoltre, domanda all'artista se non sia il caso di rifinire la vignetta del bravo che picchia alla porta di don Rodrigo, che intende porre sul frontespizio; in chiusura, esprime il suo rammarico per non averlo più a Milano.

Testimoni
  • (originale) Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Manz.B.I.55b/7, cc. 2rv
    (Timbri postali: «MILANO | MARZO 3»; «4. MAR.»)
Edizioni
  • SARACENO 1881, p. 43.
  • SFORZA 1882-1883, vol. II, p. 23.
  • PARENTI 1945, p. 238.
  • ARIETI-ISELLA 1986, lettera n. 548, vol. II, pp. 133-135, note alla p. 749.
Opere citate

I promessi sposi

+ Testo della lettera

Carissimo Gonin,

L'è inutil: quand soo nient, poss dì nient. Così diceva la tua Perpetua: e se pare a te, come, in prima istanza, è parso a noi, che lo dica tuttavia, e che il resto stia in proporzione, sarò compitamente contento. Speravo di poterti mandare anche il galantuomo tra i birboni, finito ier l'altro da Bernard; ma non glien è ancor riuscita una prova soddisfacente. Intanto non ho voluto trattenerti questa, la quale desidero che basti a procacciarmi una tua cara letterina. Ti confesso che mi sarebbe piaciuto assai più vederti la prova in mano, e i tuoi occhioni fissi su di essa; ma dalle con questo voler resistere ai fati.
Ora vengo a farti due proposizioni di quelle che tu chiami salvatiche. La prima è niente meno che pregarti di rendermi una mia parola. T'avevo promesso un esemplare in carta distinta; ma ripensando che non se ne potrebbe fare un solo, e agl'impicci che nascerebbero dal farne e distribuirne piu o meno, e che sarebbe un battezzare ordinari tutti gli altri, e levar loro un po' di pregio, son tornato nel mio desiderio di farli tutti d'una carta: e su di ciò aspetto la tua decisione.
L'altra è pure una velleità di quelle alle quali tu solo potevi darmi coraggio, e prometter pazienza, come hai fatto. Sappi dunque ch'io bramerei ardentemente di porre nel manifesto la vignetta del bravo che picchia alla porta di D. Rodr[igo]; perchè mi sembra aver qualità ad hoc da non trovarsi così facilmente riunite in un'altra. Fondo ricco e vistoso, che non si trova nella sua compagna: soggetto da riconoscersi a prima vista, chi abbia letto il testo e se ne rammenti (che son le persone di garbo), e soggetto insieme secondario, sicchè non si mangia grano in erba: personaggi diversi, tra i quali il frate, e in positura di ti vedo e non ti vedo, etc. etc. Ma (e qui ci vuol la faccia del ciabattino che parla ad Apelle) la figura del bravo seduto mi pare un po' forzata, e che il braccio che posa col gomito sul panchetto medesimo, sia forse troppo lungo. Ora le vignette del manifesto saranno guardate e riguardate per minuto; e io ci vorrei questa, e la vorrei senza quel difettuccio, se c'è. Massimo mi dice che son minuzie, ma tu m'hai avvezzato male, e quando a cavarmi un capriccio non ci vuole altro che un atto di tua compiacenza, son troppo tentato di tentarla. Vorrei perciò approfittare della prima occasione che mi capiti, per mandarti il legno; tu lo guarderai: s'io m'inganno, me lo dirai, senza bisogno ch'io ti faccia coraggio; se ci fosse davvero qualcosa da ritoccare in quella figurina, tu avrai la santa pazienza di levare un po' di lapis, mettere un po' di bianco, e render perfetta una cosa già bellissima. Che ne dici? Ch'io sono un seccatore? Sono stato abbozzato tale dalla natura, e finito da te.
È ora di domandarti se hai fatto buon viaggio, se stai bene, e se gli occhi hanno messo giudizio affatto. Noi stiam tutti bene; che ora spero di poter comprenderci Cristina, la quale a questi giorni passati è stata travagliata da dolori di capo, conseguenza probabilmente delle levate di sangue. E rispetto a te, siamo, e famiglia e amici, come gente che ha mangiato una minestra squisita, e veduto una portata magnifica, e poi si vedono sparecchiar tutto, e son costretti levarsi da tavola. Il paragone è proprio milanese: lupi lombardi. Due righe che mi tengan luogo, per quanto si può, delle care chiacchiere che si facevano al cammino di sotto e a quel di sopra. Saluti cordialissimi di tutti: e vogli sempre un po' di bene al tuo

Manzoni